Decolonizzare il presente Un articolo di zebra.
Un articolo e intervista con Andrea di Michele, professore di storia contemporanea all’università di Bolzano e insegnante presso la facoltà di Scienze della Formazione di Bressanone.
Testo: Federico Simoncini Ulivelli
Foto: Alessio Giordano
Un articolo del giornale di strada zebra. del marzo 2022.
A scuola abbiamo studiato tutti*e il colonialismo. Eppure oggi l’epoca coloniale viene spesso percepita come un fatto lontano, che non ci riguarda più: non ci si rende conto di quanto la sua eredità e molte delle sue tracce siano presenti ancora oggi nel nostro territorio.
Andrea di Michele è professore di storia contemporanea all’università di Bolzano e insegna presso la facoltà di Scienze della Formazione di Bressanone. Si occupa di storia del ‘900 sia in ambito regionale che nazionale, trattando temi come le politiche di italianizzazione in Alto Adige e la storia repubblicana italiana.
Quanto ha influito il colonialismo nella storia italiana?
Per quanto riguarda il peso che si tende a dare al colonialismo in Italia, possiamo tranquillamente affermare che è rilevante e non limitato esclusivamente al fascismo. Si tende spesso, infatti, a legare la storia coloniale italiana solo alla dittatura, che sicuramente ne rappresenta l’apice, ma che in realtà è di più lungo periodo. Il colonialismo attraversa la storia dell’Italia anche pre- e post-ventennio.
Ci può illustrare questi tre momenti iniziando dalle prime imprese coloniali?
Le prime imprese coloniali hanno inizio nei primi anni dell’Unità d’Italia. In questo periodo si possono riscontrare le prime presenze italiane in Eritrea e successivamente, all’inizio del ‘900, un importate intervento in Libia. L’Italia quindi è già presente sia nel Corno d’Africa, compresa l’Abissinia, che in Libia, due zone che poi saranno al centro delle campagne fasciste. Queste conquiste hanno sostanzialmente aperto le porte al colonialismo del ventennio.
Cosa accadde durante il fascismo?
Il fascismo ha rappresentato il picco del colonialismo italiano sia in Libia che nel Corno d’Africa. Quest’ultima conquista, avvenuta nella seconda metà degli anni ‘30, è stata l’ultima grande spedizione africana di un paese europeo. Entrambe sono state combattute con interventi militari duri - che hanno colpito anche la popolazione civile - e infrangendo le norme internazionali di condotta bellica, ad esempio con l’utilizzo di gas. Queste imprese avevano anche un obiettivo propagandistico che serviva a costruire un consenso e un’immagine di forza e di “italiano dominatore”.
Come si sono posti i sudtirolesi durante il fascismo rispetto a questa invasione coloniale?
Come per ogni altra guerra i soldati venivano arruolati e conseguentemente anche gli altoatesini vi hanno partecipato. Come in ogni altra regione, però, ci sono state reazioni differenti. Alcuni hanno disertato fuggendo oltre il Brennero, altri hanno manifestato nelle caserme contro la campagna in Abissinia e altri ancora sono partiti.
Quali sono le testimonianze dei sudtirolesi che hanno partecipato alle campagne coloniali?
Per un periodo molto lungo si è taciuto, ma dagli anni ‘80 sono state raccolte testimonianze attraverso racconti, foto e scritti. Il lungo silenzio era dovuto principalmente all’imbarazzo di aver combattuto dalla parte del fascismo italiano. In alcuni racconti, inoltre, i sudtirolesi hanno dimostrato empatia nei confronti dei colonizzati poiché venivano visti come un popolo che, come gli altoatesini, aveva subito la conquista italiana.
Entriamo nell’ultima fase, quella del dopoguerra. Qual è l’eredità lasciata dal colonialismo in Italia?
Negli ultimi anni sono state fatte delle rilevazioni dell’odonomastica fascista e coloniale ed è impressionante il numero di vie e piazze che si riferiscono al colonialismo. Bolzano, da questo punto di vista, non fa eccezione.
C’è una colonna romana dietro al Monumento alla Vittoria, nell’omonima piazza, che è stata costruita nel 1938 ed è dedicata agli altoatesini caduti nelle guerre d’Africa e nella guerra di Spagna. Ci sono delle scritte lungo Corso della Libertà e sul Palazzo di Giustizia che richiamano la costruzione dell’impero romano e fascista, delle scene che rappresentano le battaglie in Etiopia e Libia sul bassorilievo di Hans Piffrader.
Poi ci sono alcune strade come via Antonio Locatelli, via Padre Reginaldo Giuliani e via Amba Alagi, intitolata all’omonima battaglia solo negli anni ’50. Il consiglio comunale democratico, su richiesta del consigliere Andrea Mitolo del MSI, approvò quasi all’unanimità la mozione, anche con i voti del SVP.
Rispetto al lascito del colonialismo come si comporterebbe con le opere che richiamano quell’epoca?
Credo che le scelte fatte a Bolzano siano corrette, ovvero evitare di cancellare queste testimonianze e intervenire sui monumenti e sulle altre rappresentazioni trasformandole in occasioni di approfondimento e di riflessione. Se dovessimo cancellare tutte le tracce e i nomi del colonialismo e avere una città dove non esistono più riferimenti a quel periodo storico non sarebbe un bene.
Quali conseguenze avrebbe una scelto di questo tipo?
Paradossalmente, non conosceremmo più questa pagina della nostra storia. La cancellazione non ci permetterebbe uno studio approfondito che condurrebbe a una conoscenza critica di ciò che è stato il colonialismo. Se mantenuti, non passivamente, e affrontati con un approccio critico attraverso percorsi di conoscenza, questi simboli si trasformano in un’occasione positiva. L’eliminazione delle opere porterebbe a un ragionamento astorico perché attribuire a epoche lontane dalla nostra una serie di valori e sensibilità attuali è insensato. Secondo questo ragionamento, e andando sempre più indietro nel tempo, dovremmo eliminare opere come la Colonna Traiana a Roma. Nessuno dovrebbe riconoscersi nelle conquiste coloniali oggi, ma l’eliminazione delle opere rappresentative di quel periodo non è la soluzione. La via da seguire, come detto in precedenza, è quella della visione critica.
Può fare un esempio delle iniziative svolte a Bolzano sulle opere che hanno subito positivamente questa trasformazione?
È stato fatto un intervento attivo sul bassorilievo di Hans Piffrader situato in piazza Tribunale evitando che l’opera venisse smantellata ed eliminata. Questo intervento si è basato sulla ricontestualizzazione attraverso l’assegnazione di un nuovo significato alla scultura. L’opera è stata trasformata da un omaggio nei confronti del colonialismo e del fascismo a un’occasione di riflessione.
Cosa si intende con il termine “decolonizzazione”?
Si parla di processo di decolonizzazione sotto due aspetti: il primo, avvenuto negli anni 70, si riferisce alla liberazione dal dominio coloniale da parte dei paesi conquistati, in particolare quelli africani. Il secondo, invece, è di carattere culturale e mira a riflettere sul nostro passato coloniale, ragionando criticamente su alcuni sentimenti di “superiorità”, esistenti ancora oggi, tra l’Occidente e i paesi africani. In Italia questo sentimento è ancora molto forte ed esiste una convinzione diffusa secondo cui il colonialismo italiano abbia portato dei benefici ai paesi africani (per esempio le strade e in ambito agricolo), e sia stato qualcosa di moderato e buono rispetto a quello di altri stati colonizzatori. In realtà, questo ragionamento andrebbe superato con una conoscenza più approfondita di quello che l’Italia ha realmente fatto in Africa.