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Il Santuario dei delfini

Il Santuario dei delfini

Negli ultimi anni diversi Stati hanno bandito la cattività a scopo ricreativo per i delfini. Spesso, però, una volta liberati questi cetacei non sono in grado di tornare in mare aperto. Per questo il “Jonian Dolphin Conservation” di Taranto ha istituito un “Santuario”, un luogo di prima accoglienza per i delfini che potranno progressivamente riadattarsi alla libertà, essere curati e, se dovessero dimostrare di non essere in grado di sopravvivere in mare aperto, vivere in un contesto protetto.

Ecco l'articolo completo dell'edizione zebra. di Maggio 2024


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Il rifugio dei delfini

Negli ultimi anni la sensibilità verso le condizioni di vita dei delfini che vivono in cattività a scopo ricreativo è cresciuta notevolmente. Una volta liberati, però, questi cetacei non sono sempre in grado di tornare in mare aperto. Per questo il Jonian Dolphin Conservation di Taranto ha istituito un “Rifugio” dove i delfini potranno progressivamente riadattarsi alla libertà e, se dovessero dimostrare di non essere in grado di sopravvivere in mare aperto, vivere in un contesto protetto.

In tutta Europa ci sono 285 delfini tursiopi in cattività. In Italia gli appartenenti a questa specie sono gli unici a essere ospitati in parchi, acquari e circhi marini. Sul nostro territorio sono tre le strutture che lo fanno ancora: l’Acquario di Genova, il Parco di Oltremare di Riccione e il parco Zoomarine di Torvaianica-Pomezia, a Roma. Fino a una decina di anni fa erano cinque. Nel 2014 il parco di Fasano ha detto addio ai delfini e da allora ospita foche, pinguini e leoni marini. Fino agli inizi del 2013 nella lista compariva anche il Palablù di  Gardaland, noto per i suoi spettacoli di intrattenimento, nel corso dei quali i mammiferi si impegnavano in
virtuosismi e giochi acquatici. Sembrava uno spettacolo che rendeva tutti felici: i delfini giocavano, il pubblico gioiva, gli addestratori sorridevano alla folla. Fino a quando quattro esemplari hanno spezzato l’illusione con un vero e proprio suicidio di massa. I delfini, infatti, possono scegliere di morire: restano sott’acqua, smettono di respirare fino a che il cuore non si ferma. Quanto accaduto a Gardaland è solo uno dei numerosi casi che si verificano ogni giorno in tutto il mondo e che mostrano come gli animali in cattività sfruttati per l’intrattenimento risentono della loro condizione.

Il vento sta cambiando

“Negli ultimi anni la sensibilità sul tema è molto cambiata”, spiega Carmelo Fanizza, fondatore e presidente della Jonian Dolphin Conservation (JDC). “Ormai i circhi con animali e i delfinari, perdono attrattività sul pubblico. Un bambino che guarda lo spettacolo di un animale rinchiuso ha una consapevolezza diversa  rispetto al passato”. Il vento, insomma, sta cambiando. “La Francia è stato il primo Stato europeo a intuire la direzione”, sottolinea Fanizza, “con diversi decreti legislativi che vietano lo sfruttamento dei delfini nei parchi
acquatici e che hanno portato alla chiusura di Parc Astérix, una struttura alle porte di Parigi che contava circa due milioni di visite l’anno”. Diversi parchi sono in chiusura o si stanno riconvertendo e quegli stessi animali che erano fonte di introiti adesso si stanno rivelando un gravoso impegno economico. “La Francia è l’unico Stato europeo ad aver varato norme in questa direzione”, spiega il ricercatore, ma la strada sembra ormai segnata. Anche per questo è necessario costruire strutture in grado di accogliere gli animali che escono dalla cattività. A questo progetto, in Italia, sta lavorando proprio la JDC, attualmente impegnata nello sviluppo di un Dolphin Refuge, un centro di recupero per animali provenienti dai delfinari che avrà sede nel Golfo di Taranto. Il lavoro è iniziato nel 2018, con la raccolta di materiale scientifico e l’avvio dell’iter autorizzativo. Nel 2023 l’organizzazione ha ottenuto la concessione demaniale marittima per un’area di quattro ettari a sud dell’Isola di San Paolo. Perché la struttura entri in funzione occorrerà ancora del tempo, ma sono cominciate le diverse attività propedeutiche, cui seguiranno quelle di collaudo. In questo momento sono state posizionate quattro boe ai vertici dell’area, una delle quali si occuperà della raccolta dati attraverso un monitoraggio h24 real time, insieme a un idrofono per verificare le condizioni acustiche.
La raccolta dati durerà sei mesi, ma già a partire da maggio sarà possibile realizzare la prima “vasca” in grado di ospitare gli animali. In realtà non si tratta di una struttura fisica ma di un’area in mare aperto ridossata per proteggerla da eventuali condizioni ambientali sfavorevoli. Questo è un aspetto fondamentale: “Gli animali cresciuti in cattività non possono essere liberati immediatamente, non sarebbero in grado di sopravvivere”, chiarisce il fondatore della JDC, “anzi, alcuni degli esemplari che ospiteremo non saranno mai in grado di farlo, per ragioni genetiche quanto di abitudine”. Il centro sarà dunque riabilitativo per gli esemplari in grado di essere rieducati, mentre per quelli che non lo sono sarà una sorta di luogo di pensione, in cui potranno vivere liberi dal lavoro per gli umani.
 

Un’idea che nasce da lontano

La struttura, che sarà una delle prime nel Mediterraneo, trae ispirazione da un analogo progetto a Bali, in Indonesia, il Dolphin Project di Richard O’Barry, regista e premio Oscar per il documentario “The Cove”. O’Barry, ex addestratore di delfini, ha consacrato la sua vita a questo scopo dopo che Kathy, una delle cinque
esemplari protagoniste della serie tv degli anni Sessanta “Flipper”, si è suicidata tra le sue braccia. L’evento l’ha scosso al punto da divenire paladino mondiale della liberazione dei cetacei dalla cattività e dall’intrattenimento umano. L’attivista ha supportato la JDC per l’individuazione dell’area idonea alla realizzazione del centro, a Taranto. Il centro in realizzazione è l’ultima tappa di un percorso che parte da  lontano. Nata nel 2011, la JDC si caratterizza dall’inizio per il progetto di citizen science “Ricercatori per un giorno”. A bordo di gommoni prima e catamarani poi, i*le biologi*ghe del centro organizzano giornate di osservazione e ricerca in mare aperte al pubblico. “In questo modo”, illustra Carmelo Fanizza, “finanziamo le nostre attività e, allo stesso tempo, raccogliamo dati per il lavoro di ricerca”. Le persone a bordo delle piccole
imbarcazioni vivono la giornata tipo di un ricercatore*rice, con uscite finalizzate all’osservazione dei cetacei in mare nel corso delle quali è possibile avvistare tursiopi, granchi, capodogli e altre specie di cetacei. “Il perno di ogni attività è la libertà degli animali. Non è una visita guidata, non c’è un momento fisso per  ’avvistamento. Possono passare cinque minuti come cinque ore di navigazione, ma abbiamo una percentuale di riuscita del 90 percento.” Una volta avvistati gli animali, il pubblico è coinvolto dallo staff di biologi e
biologhe nella raccolta dati: “Lo facciamo per circa 200 giorni l’anno, da dieci anni. Abbiamo raccolto un dataset di informazioni importantissimo, che usiamo per le pubblicazioni scientifiche a partire dalle quali si stabiliscono le linee guida per la salvaguardia di questi animali”, sottolinea Fanizza.
Un’attività del genere in un’area come il Golfo di Taranto è molto preziosa. La zona è tra le più antropizzate del nostro Paese, sottoposta a diversi tipi di pressione – non solo l’industria coinvolta nelle già note vicende della città, ma anche porti mercantili, attività della Marina Militare, parchi eolici – sia sul fronte pugliese sia su quello calabrese. 

l perno dell’attività della Jonian Dolphin Conservation è la libertà degli animali.

L’area ha dello straordinario anche dal punto di vista della biodiversità: “Il Golfo di Taranto si trova nello Ionio settentrionale, una delle aree più profonde di tutto il Mediterraneo”, spiega il ricercatore. “A poche miglia dalla costa”, continua, “si superano abbondantemente i mille metri di profondità. Questo genera uno scenario di biodiversità straordinario, con diverse specie di cetacei che frequentano l'area del Golfo di Taranto, sia per
transito sia a livello stanziale”.
Anche con il Rifugio JDC continuerà a puntare sulla citizen science, coinvolgendo le persone nella ricerca con gli animali liberi. “Il nostro non sarà un centro visitabile, o che sfrutterà gli animali, l’osservazione potrà essere effettuata solo a distanza”, puntualizza Fanizza, che precisa come l’interesse del Rifugio sia “far capire alle persone che è possibile trascorrere una bella giornata in mare con gli animali senza disturbarli. Se  vogliono compagnia sono loro ad avvicinarsi, mentre se preferiscono evitare il contatto restano a distanza. In questo modo potremo mostrare quanto crudeli siamo stati in passato, ma anche che l’osservazione in ambiente naturale è più facile di quanto possa sembrare, non servono parchi o delfinari. In mare aperto puoi vedere come gli animali vivono in natura: le azioni di caccia, i corteggiamenti, la loro vita reale”. 
L’ambizione di Fanizza è raggiungere l’operatività della struttura entro la fine della stagione. Nel frattempo, spiega, “i laboratori galleggianti in mare previsti dal progetto saranno utilizzati per il soccorso delle tartarughe e di altri animali in difficoltà”.
La realizzazione del centro e la sua messa in opera completa richiederanno importanti finanziamenti, ma sarà possibile sostenere il progetto e le attività di JDC. “I canali di supporto diretto al centro per i delfini partiranno appena la struttura diverrà operativa. Ci saranno telecamere e da remoto si potranno osservare gli animali, senza infastidirli. Per il momento però è possibile sostenere l’associazione iscrivendosi, effettuando donazioni, seguendo le nostre attività o attraverso il 5x1000”. 

“Il Rifugio mostrerà che è possibile trascorrere una giornata in mare con i delfini senza disturbarli.”

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