DASPO urbano. Wie bitte?!
Un articolo sul divieto di accedere ad alcune aree della città di Bolzano.
Testo: Chiara Bongiorno e Federico Matranga
Foto: Alesio Giordano
Un articolo del giornale di strada zebra. del dicembre/gennaio 2019
Il DASPO è l’acronimo di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive (una misura adottata in Italia nel 1989 per contrastare la violenza negli stadi). Il Decreto Sicurezza “Minniti” del 2017 si fece ispirare da quello per creare il “DASPO URBANO”: una misura con cui un sindaco – in collaborazione con il prefetto – può multare e poi stabilire un divieto di accesso ad alcune aree della città per chi «ponga in essere condotte che limitano la libera accessibilità e fruizione» di infrastrutture di trasporto. Il Decreto “Immigrazione e Sicurezza” a firma Salvini ne ha poi ampliato la portata, estendendone l’applicazione ai presìdi sanitari, alle zone di particolare interesse turistico, nonchè alle aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati e pubblici spettacoli.
Presupposti per l’applicazione: bivaccare in modo poco decente e decoroso, intrattenersi negli spazi pubblici mostrando poco rispetto per questi ultimi, compiere atti offensivi, espletare i propri bisogni corporali fuori dai servizi igienici, fare accattonaggio in modo molesto, esercitare attività commerciale abusiva.
Anche nel Comune di Bolzano, seppur con non poche difficoltà, si è recentemente trovato un accordo che ha reso operativo il DASPO urbano. Questo sarà dunque applicabile a numerose strade adiacenti la stazione (tra cui, Ça va sans dire, il parco stazione) e attorno al Monumento della Vittoria. Ma non solo. Grazie ad aggiunte volute da esponenti del Centrodestra Uniti per Bolzano e della Lega, il DASPO urbano sarà applicabile anche in Via Rasmo a Casanova e nelle aree di mercato della città.
Che forse si debba intervenire prima con misure sociali più che poliziesche, è stata la chiara opposizione dei Verdi. Che quindi riuscivano a far inserire nel regolamento il cd. “emendamento sociale”: il Comune deve, preventivamente o complementariamente all’applicazione del DASPO urbano, verificare, attraverso l’Azienda Sociale, la percorribilità di progetti di recupero e reinserimento per persone con particolari disagi psico-sociali.
Queste le loro armi: l’ordine di allontanamento dal luogo dove si è stati colti in – e per l’occasione coniamo un termine più poliziesco – “flagranza di bivacco”, con efficacia di 48 ore. Se l’ordine viene disatteso o se il Questore - informato fin dall’inizio, insieme ai Servizi Sanitari - ritiene la condotta particolarmente pericolosa per la sicurezza pubblica, si passa alla fase 2 del DASPO urbano: il divieto di accesso a tali aree, per non più di 12 mesi (o fino a 2 anni per chi ha già avuto condanne definitive). Sanzioni pecuniarie fanno da pendant, ovviamente, ma non scoraggiano troppo. E se si disattende il divieto di accesso, allora scatta l’arresto da sei mesi ad un anno.
Purtroppo il DASPO urbano rischia di colpire anche chi, a causa dell’assenza di adeguate politiche sociali, non ha un luogo dove trascorrere le giornate e le notti. L’insufficienza di posti letto per senza dimora, la mancata accoglienza di richiedenti protezione internazionale (che pur ne avrebbero diritto) e l’assenza di un centro diurno sono tra le tante cause di un evidente disagio tra molti che vivono ai margini della città.
Insomma, l’immagine della pulitissima cittadina del nord, ordinata, ben funzionante, efficiente, e rovinata dai bivacchi sulle panchine o da chi fa accattonaggio, continua a disturbare i sogni degli amministratori locali. Ma al grido di “RAUS!” dovrebbe però essere tutto finito, tranquilli. D’altronde è così che si scacciano i mostri nei sogni.