Olga Karatch, l’attivista per la pace che ha sfidato Lukashenko
L’impegno in Bielorussia a favore di donne e minori, la lotta per il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare e le conseguenti accuse e minacce del regime di Lukashenko: Olga Karatch, attivista e pacifista, vincitrice del Premio Internazionale “Alexander Langer”, è la fondatrice di “Our House”, organizzazione candidata al Premio Nobel per la pace 2024.
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Olga Karatch, l’attivista per la pace che ha sfidato Lukashenko
Olga Karatch è una giornalista e attivista per la pace e per i diritti civili bielorussa. A causa del suo impegno, lo spietato regime di Aleksandr Lukashenko l’ha accusata di “terrorismo”, crimine per il quale nel suo Paese è prevista la pena di morte. Oggi vive a Vilnius, in Lituania, dove le è stato negato l’asilo politico perché considerata una “minaccia per la sicurezza nazionale”.
In Bielorussia, alle elezioni del 2020 – giudicate dal Consiglio Europeo “né libere, né eque” –, che hanno portato alla sesta rielezione di Lukashenko, sono seguite numerose proteste. Tra le voci più forti della “resistenza bielorussa” si è distinta quella della giornalista e attivista Olga Karatch, che in quei giorni di speranza per il popolo bielorusso ha contribuito a organizzare una linea telefonica per le vittime della repressione del regime, avviando una raccolta fondi per coprire le loro spese legali. “Dopo alcuni mesi, però, il governo ha interrotto il nostro lavoro, arrestando alcuni di noi e costringendo altri alla fuga all’estero”. Il KGB, quindi, ha inserito il suo nome nell’elenco dei*lle terroristi*e con il numero 773. Questa la realtà dei fatti. Decisamente più fantasiosa la versione del regime, che “ufficialmente mi ha accusata di aver tentato un attacco kamikaze nei pressi di un punto di comunicazione russo su ordine di Angela Merkel”.
L’impegno di Olga Karatch per la libertà e i diritti umani nasce nel 2005, quando fonda il Centro internazionale per le iniziative civili “Our House”. Inizialmente l’organizzazione si dedica al supporto delle donne, che in Bielorussia subiscono discriminazioni e abusi di diversa natura. “Con la campagna '252+1' abbiamo fatto pressione affinché venisse consentito loro di accedere ad alcune professioni 'proibite', spesso lavori meglio retribuiti o legati a stereotipi di genere”, spiega Karatch. Fino a qualche tempo fa la lista comprendeva 252 professioni. Oggi, grazie alla campagna di “Our House”, 186. L’ong bielorussa dedica poi un focus particolare ai*lle minori. Il progetto “Children 328”, per esempio, mira alla liberazione dei minori incarcerati. “Nel mio Paese, i ragazzi dai 14 anni in su possono essere condannati a dieci anni di carcere per il consumo di sostanze stupefacenti”, afferma l’attivista, che evidenzia come “le conseguenze per la salute fisica e mentale per un giovane possono essere tremende date le condizioni in cui versano gli istituti di pena bielorussi: non c’è la possibilità di frequentare la scuola, l’assistenza sanitaria è carente e sono frequenti violenze e torture”. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, inoltre, i minori sono oggetto di una campagna di militarizzazione aggressiva da parte del governo Lukashenko. Secondo i dati di “Our House”, nel 2022, 18.000 bambini dai 6 anni in su hanno partecipato a 480 campi militari estivi sotto l'egida del Ministero della Difesa. “Di questi, 2.000 giovani sono stati poi selezionati per un vero e proprio addestramento e oggi sono in grado di sparare, guidare mezzi militari e gestire parte della logistica militare”, specifica Karatch. In molti casi, i bambini coinvolti provengono da famiglie marginalizzate, che vedono in questa iniziativa la possibilità di migliorare la propria condizione sociale. Proprio l’invasione russa in Ucraina e la conseguente escalation bellica hanno visto Olga Karatch e la sua organizzazione in prima linea con “No means no”, una campagna nata per promuovere e difendere il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare. Dopo il 24 febbraio 2022, infatti, “quando 43.000 bielorussi hanno ricevuto la cartolina precetto dell’esercito, noi abbiamo risposto diffondendo materiale informativo per esortare gli uomini a non rispondere alla chiamata e a fuggire”. “No means no” punta all’istituzione di corridoi umanitari per coloro che rifiutano di imbracciare le armi e garantisce assistenza legale a chi si rifugia in Lituania. Chi opta per l’obiezione di coscienza, in Bielorussia – Paese in cui non esistono tribunali indipendenti – va incontro a una condanna da 7 a 10 anni di carcere. Nel 2023, fonti governative hanno dichiarato che i ricercati per non aver risposto alla chiamata alle armi sono stati 5.000. Chi decide di non arruolarsi, diserta o fugge in Russia rischia la deportazione. Karatch crede molto in questa campagna, convinta che “l’obiezione di coscienza contribuirebbe a risolvere ogni conflitto sul pianeta: non si potrebbero combattere le guerre se non ci fossero soldati”.
Karatch crede molto in questa campagna, convinta che “l’obiezione di coscienza contribuirebbe a risolvere ogni conflitto sul pianeta: non si potrebbero combattere le guerre se non ci fossero soldati”.
Oggi Olga Karatch vive a Vilnius. La giornalista e attivista era arrivata in Lituania – un Paese dell’Unione Europea – con molte speranze, ma ha capito presto di essersi illusa. Lo scorso agosto le è stato negato l’asilo politico e il suo permesso per motivi umanitari scadrà tra un anno. “Anche qui subiamo le operazioni di discredito del regime di Lukashenko”, afferma. Negli ultimi tempi, la persecuzione degli*lle attivisti*e e la discriminazione degli obiettori di coscienza bielorussi in Lituania si sta intensificando: la destra lituana al governo diffonde un clima di paura per la sicurezza nazionale che sarebbe messa in pericolo da migranti e profughi bielorussi. “Per essere considerati 'minaccia per la sicurezza nazionale' – come nel mio caso – basta solo un sospetto”, dice Karatch. Secondo un report di “Our House”, sono oltre 1.700 i*le bielorussi*e che il governo lituano ha inserito in questa categoria, sanzionandoli*e con un divieto di ingresso di cinque anni nell’Unione europea. Di questi*e, 910 rischiano l’estradizione in Bielorussia. Se l’impegno di Olga Karatch incontra continui ostacoli in patria e nella vicina Lituania, la sua battaglia per la libertà non è passata inosservata all’estero e oggi numerose realtà la sostengono e sono impegnate a tutelare la sua incolumità. Tra queste la Fondazione Alexander Langer di Bolzano, che lo scorso marzo l’ha insignita con il Premio Internazionale Alexander Langer 2023, assegnato ogni anno a personalità o organizzazioni che si sono distinte per la loro attività a favore della pace, dei diritti umani e civili. Guardando all’eredità di Langer, l’attivista bielorussa non ha dubbi e ricorda in particolare una frase del politico ed eurodeputato altoatesino scomparso nel 1995: “Meglio un anno di trattative che un giorno di guerra”. Per quanto complicato e faticoso, infatti, di fronte all’escalation bellica a cui stiamo assistendo, secondo Karatch è fondamentale continuare a credere nella comunicazione non violenta e nella possibilità di costruire ponti, perché “la via per la pace passa anche dall’affermazione di questi principi”.